Smart working: un tema tenuto in sordina fino a pochi giorni fa, sta prendendo oggi sempre più piede nelle conversazioni e sulla stampa. In questi giorni concitati caratterizzati dall’emergenza sanitaria, infatti, lo smart working sta diventando la soluzione a cui tutti guardano – almeno chi può attuarlo – per gestire il problema di evitare spostamenti, contatti, ma anche quello dei figli a casa da scuola.
In realtà, come scopriremo insieme proseguendo nel post, smart working non è sinonimo di lavorare da casa, ma un nuovo modo di intendere il lavoro, di porsi degli obiettivi e cambiare atteggiamento, lasciando la mentalità del dipendente (nella sua accezione deteriore) per assumere quella del «manager» del proprio lavoro, rispondendo per quanto effettivamente si è fatto e non per quante ore si è stati seduti alla scrivania.
Cos’è lo smart working e come è la situazione in Italia
Come dicevamo poco fa, la definizione di smart working non è quella di lavorare semplicemente da casa, ma si tratta appunto di un nuovo modello aziendale, in cui non è necessario avere sempre sott'occhio il dipendente seduto alla sua scrivania per verificare che quest’ultimo compia il suo lavoro: al dipendente saranno invece assegnati obiettivi e progetti da perseguire senza vincoli di orario o di luogo di lavoro e da misurare insieme al proprio referente una volta raggiunto il momento della consegna.
Ecco perché parliamo di cambio di mentalità: lo smart working è una rivoluzione per l’organizzazione di un’azienda, prevede l’impegno e la dedizione al lavoro che si fa da parte di tutti, responsabilizzando i dipendenti e al tempo stesso riconoscendo il valore di ciò che fanno.
In questi ultimi mesi lo smart working è disciplinato dal decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n. 6 che istituisce la possibilità di adottare il lavoro agile senza bisogno di accordi specifici, ma in generale il riferimento è la Legge 81 del 2017, una norma a lungo attesa che ha permesso l’introduzione dello smart working anche nella pubblica amministrazione.
L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (nato nel 2012) ne monitora la diffusione e identifica le best practice, al fine di stimolarne l’introduzione; grazie alle ricerche condotte sappiamo che nel 2019:
- gli smart worker sono ormai circa 570mila, con un aumento del 20% sul 2018
- sono più soddisfatti e coinvolti nel loro lavoro degli altri dipendenti «tradizionali»: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi
- le grandi imprese che hanno avviato progetti di Smart Working sono il 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018
- anche il dato per le PMI è in crescita (dall’8% del 2018 al 12% attuale, a cui aggiungere i progetti informali dal 16% al 18%) ma aumenta anche il dato di quelle aziende disinteressate al tema (dal 38% al 51%)
- nella Pubblica Amministrazione si registra la crescita più significativa (anche se il ritardo resta significativo): in un anno sono raddoppiati i progetti strutturati (passando dall’8% al 16%), il 7% delle PA ha attivato iniziative informali (l’1% del 2018) e il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi
Perché lo smart working è una grande opportunità per lavoratori e aziende…
Tutti i vantaggi dello smart working sono riuniti in poche frasi del sociologo Domenico De Masi, uno dei principali promotori dello smart working e fondatore della SIT – Società Italiana per il Telelavoro, che parlando a un evento dell’ANSA dice: «si risparmia tempo e denaro, si può programmare la giornata e la vita e c'è meno inquinamento in città. In altri paesi il 10-15% dei lavoratori fa smart working, in Italia solo 500mila lavoratori su 23 milioni, una percentuale irrisoria dovuta ad una serie di motivi di carattere culturale».
I principali vantaggi dati dall’adozione dello smart working sono (come riportato ancora una volta dall’Osservatorio) il miglioramento dell’equilibrio tra vita professionale e privata, la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti, anche se emergono le difficoltà della percezione di isolamento, le distrazioni esterne, i problemi di comunicazione virtuale e la barriera tecnologica.
…ma anche per l’ambiente: fare smart working abbatte le emissioni di CO2
I vantaggi elencati riguardano dipendente e azienda, ma l’aspetto più interessante dello smart working è che porta beneficio all’intera comunità e all’ambiente. Basta rifletterci per collegare i due aspetti: limitare gli spostamenti consente di risparmiare tempo ed evitare lo stress, ma anche di ridurre le emissioni di CO2 legate ai mezzi di trasporto.
Se tutti percorressimo a piedi o in bicicletta la distanza tra casa e lo studio o il coworking che abbiamo scelto come sede, o lavorassimo direttamente a casa potremmo ridurre il numero di automobili in circolazione – con conseguente risparmio economico per chi ne può fare a meno – e quindi le emissioni di particolato e altre sostanze inquinanti. Per non parlare, poi, di quelle zone in cui i trasporti pubblici sono carenti o inesistenti – a partire dalle zone appenniniche dell’Italia fino all’Asia e gli Stati Uniti - dove ci si sposta solo in macchina.
Dati ARPA sulla qualità dell'aria il 25 febbraio 2020 e il 06 marzo 2020
Un primo indizio tangibile, anche se mancano ancora studi ufficiali, è quello della qualità dell’aria in Lombardia in questo periodo di emergenza da Coronavirus: in tantissimi lavorano da casa, senza spostarsi, e i dati forniti dall’ARPA - Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente sembrano evidenziare la correlazione tra smart working e minor inquinamento. Confrontiamo le mappe dei giorni 25 febbraio (due giorni dopo il decreto) e del 6 marzo (dopo due settimane): vedremo un miglioramento decisamente significativo.
Lo stesso fenomeno, ma con una dimensione decisamente maggiore, è avvenuto in Cina: i dati questa volta sono stati raccolti dalla NASA, che ha evidenziato come la concentrazione di biossido di azoto (NO2) - un gas nocivo emesso da veicoli a motore, centrali elettriche e impianti industriali - sia crollata a causa della riduzione delle attività nelle fabbriche cinesi. Il confronto tra i periodi pre e post quarantena vede una differenza notevole; ancora, per evidenziare meglio la differenza tra questa situazione particolare e la normalità rispetto l’inquinamento in Cina, e mostrare che si tratta davvero di un fenomeno straordinario, gli studiosi della NASA hanno messo a confronto lo stesso periodo di tempo anno su anno.
a sinistra: Dati NASA su concentrazione di NO2 in Cina; confronto periodi 1-20 gennaio con 10-25 febbraio 2020;
a destra: Dati NASA su concentrazione di NO2 in Cina; confronto periodi gennaio-febbraio 2020 e 2019
Questa situazione di emergenza potrebbe avere un risvolto positivo, allora: aiutarci a comprendere ancora meglio come incentivare lo smart working e attuare una politica più sostenibile in materia di spostamenti possano essere interventi con un reale impatto sulla qualità dell’aria, la nostra salute e quella dell’ambiente in cui viviamo.
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