Cosa significa, per te, moda sostenibile? Slow fashion, capi belli e resistenti al tempo, tessuti rigenerati, equo compenso, filiera controllata: tutto questo ha come minimo comune denominatore proprio il concetto di moda sostenibile, che non indica affatto un ritorno al modo artigianale di creare tessuti e filati tipico dell’era preindustriale o simili; queste due parole esprimono invece un insieme di significati che possiamo sintetizzare in abiti belli, ben fatti, creati nel rispetto dell’ambiente e di chi ci lavora. Il mondo della moda – così ricco, scintillante tanto da essere abbagliante – nasconde in sé numerose contraddizioni che nuovi brand e nuovi consumatori stanno cercando di eliminare, esponendo i panni sporchi di aziende che giocano sull'ignoranza di chi ne acquista i capi ma, soprattutto, incentivando una presa di coscienza generale rispetto le prassi di questa industria così complessa.
Come per il risparmio di energia elettrica, infatti, siamo noi che nel piccolo delle scelte quotidiane possiamo fare la differenza nell'evoluzione di questo settore verso una moda pulita in ogni senso.
Moda e sostenibilità: quali sono i problemi da risolvere?
Ma perché ci troviamo oggi a parlare di moda sostenibile? Quali sono i problemi su cui dobbiamo riflettere? Innanzitutto sul comportamento di noi consumatori, che dopo aver utilizzato un indumento fin troppo poco tempo, lo gettiamo anziché donarlo o riutilizzarlo; oppure che acquistiamo a ritmi vorticosi nuovi capi di abbigliamento per rincorrere un’evoluzione del fast fashion che ormai propone tante collezioni quanti sono i mesi in un anno. Non si tratta di colpevolizzarci o di non poter comprare cose che ci piacciono, ma di farlo in modo consapevole, ponendoci delle domande: come fa un abito a costare così poco? Di conseguenza, come viene prodotto questo capo? Che materiale è utilizzato? Chi l’ha cucito per noi?
«Who made my clothes» è proprio lo slogan della Fashion Revolution, organizzazione inglese – con ormai propaggini in tutto il mondo – nata dalla riflessione scatenata dalla tragedia avvenuta in Bangladesh il 24 Aprile 2013, quando 1133 persone sono morte e molte altre sono state ferite a causa del crollo del complesso produttivo di Rana Plaza a Dacca: l'edificio di otto piani ospitava gli operai che lavoravano per prestigiosi marchi occidentali, anche se non con appalti diretti.
Questo evento ha avuto grande risonanza nel mondo della moda, che ha iniziato ad aprire gli occhi sulle condizioni di lavoro di chi partecipa al successo di questa industria.
Altro aspetto fondamentale è l’impatto ambientale dei vestiti che compriamo: la stragrande maggioranza delle volte, dopo l’utilizzo vengono semplicemente cestinati e bruciati, sprecando il tessuto di cui sono fatti. Negli ultimi anni si sta cercando di tramutare l’industria della moda, infatti, da una produzione lineare a una circolare: i capi dismessi sono sia sistemati e rivenduti come usato, sia – soprattutto – utilizzati per ricavare tessuti rigenerati. È possibile così dare veramente una seconda vita a un tessuto, che diventerà qualcosa d’altro: ad esempio è di pochi mesi fa la notizia del cachemire rigenerato di Falconeri, ma ci sono tantissimi brand – più o meno piccoli, Stella McCartney vi dice niente? – che stanno lavorando al riutilizzo dei materiali, all'implementazione di una produzione veramente circolare e che riduca l’impatto ambientale, affinché la moda sia veramente etica e sostenibile e questo impegno non rimanga una facciata.
Moda sostenibile Italia: a che punto siamo con il cambiamento?
E in Italia, terra di tante eccellenze della moda, come ci stiamo comportando sul fronte del cambiamento? Oltre alle iniziative lasciate ai singoli, la Camera della Moda si è attrezzata stilando il Manifesto della sostenibilità per la moda italiana (leggi qui il manifesto): un decalogo che comprende tutti gli aspetti che abbiamo citato e di più, stilando quasi una «checklist» che i brand possano seguire per essere sicuri di aver pensato davvero a tutto.
Questo, però, è solo uno degli ultimi provvedimenti presi dal mondo della moda: negli anni già molti brand si sono riuniti in diverse associazioni, dandosi regole proprie e prendendo posizione rispetto questi argomenti così spinosi; ad esempio c’è il Consorzio Detox nato per impulso di Confindustria Toscana nord, ma con invito aperto a tutti.
Il tema «green» ormai è una moda, scopri con noi come distinguere