Il Green Deal è realtà: il parlamento europeo lo ha approvato lo scorso 15 gennaio, illustrando l’indirizzo da intraprendere – basta carbone, sì economia verde e riqualificazione energetica, ripensare la mobilità – e dando una prima previsione del budget di cui i 27 paesi dell’Unione potranno usufruire grazie al Just Transition Fund. L’Italia potrà disporre di 364 milioni di euro che si prevede potranno diventare circa 4,8 miliardi, aggiungendo quanto si può realizzare da cofinanziamento e investimenti pubblici e privati.
Al centro della questione, naturalmente, sono le cifre previste ma anche la situazione di partenza di ciascuno degli stati, davvero disomogenea; questa eterogeneità si replica anche all’interno dell’Italia, basta pensare al divario tra nord e sud del Paese. I fondi, inoltre, non sono infiniti, quindi calibrare la spesa su interventi realmente utili e con ricadute virtuose sarà la vera sfida.
Approfondiamo insieme questi due punti grazie anche al dossier di Legambiente redatto proprio per suggerire gli interventi più urgenti da attuare.
Il Green Deal è una grande opportunità: crescere con gli investimenti europei
«Il Green Deal è una grande opportunità per il paese e per i territori più in ritardo» non ha dubbi Massimo Sabatini, nuovo direttore generale dell'agenzia per la Coesione territoriale, nonché direttore delle Politiche regionali e di coesione territoriale di Confindustria. In una chiacchierata alla trasmissione radio Alta Sostenibilità di Radio Radicale (al link l’estratto della puntata) ha analizzato in poche parole ciò che il Green Deal può significare per il Mezzogiorno. «Gli obiettivi sono migliorare il benessere delle persone e definire una strategia per la crescita efficace. Questo non può che essere condivisibile, soprattutto per il Mezzogiorno: è l’area del nostro paese che ha insieme i livelli più contenuti di benessere e maggiori esigenze di tornare su un terreno positivo di crescita». Cita poi un dato che fa ben comprendere come gli investimenti possano determinare – o meno – la rinascita di questo tessuto produttivo: «la cifra degli investimenti fissi lordi è ancora più bassa di un terzo rispetto i livelli pre-crisi del 2017. Grazie a questo piano, sarà possibile creare una grande infrastruttura verde e portare le aziende del sud in un paradigma diverso, quello dell’economia circolare».
Come sottolinea lo stesso Sabatini, le premesse già ci sono, non si parte proprio da zero:
- ad esempio, già adesso il Mezzogiorno ha posizione di leadership nella produzione di energia, ed è notizia di questi giorni l’inaugurazione di un nuovo parco fotovoltaico a Porto Torres di Eni New Energy
- il progetto REMARE, che nasce in Calabria con fondi europei, ha anticipato la legge Salvamare che consente ai pescatori di raccogliere i rifiuti in mare: un successo evidente poiché in poco meno di quattro mesi, da agosto a novembre, ha permesso la raccolta di oltre 19 tonnellate di rifiuti
L’Italia fa un primo passo: il Manifesto di Assisi
Pochi giorni dopo la notizia del Green Deal, il 24 gennaio ad Assisi è stato siglato un manifesto contro la crisi climatica condiviso da numerosi rappresentanti di istituzioni, mondo produttivo e politico italiano. Anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, era presente e ha commentato, segnalando delle tappe in termini di tempo di applicazione del Green Deal: «Gli stati devono capire che questa è la scommessa per il futuro. Non basta dire vogliamo uscire dalla dipendenza dal carbone nel 2050, ma abbiamo bisogno di accompagnare questo con tanti provvedimenti legislativi che la commissione si è impegnata a presentare in parlamento nei prossimi 2 anni: saranno 50 provvedimenti che avranno impatti diversi, per creare un nuovo modello di sviluppo».
Per ora, infatti, il Green Deal resta sulla carta, ma queste espressioni di intenti fanno ben sperare.
Come applicare gli investimenti del Green Deal europeo: il dossier Legambiente
Chi ha già voluto entrare maggiormente nel merito del discorso è Legambiente, che con il suo Dossier per il Green New Deal Italiano ha individuato 170 opere prioritarie e 11 emergenze per il territorio italiano.
L’elenco delle proposte «alla faccia delle polemiche sull’ambientalismo “del no”» come recita il comunicato stampa dell’associazione, vuole evidenziare quegli interventi da compiere già domani, opere di ogni dimensione pensate per il benessere di cittadini e territorio: guardando l’infografica si vede come sia suddiviso per Regione e per tipologia di intervento – messa in sicurezza, bonifica, energia, depurazione, mobilità, rifiuti, rigenerazione, trasporti, infrastrutture – e come quasi tutto il territorio italiano abbia bisogno di numerose azioni.
Spiccano, inoltre, le 11 emergenze, le priorità nazionali di intervento:
- La ricostruzione post terremoto: per citare le situazioni più problematiche basta ricordare il terremoto dell’Aquila nel 2009, del centro Italia del 2016 e Ischia 2017
- Il risanamento dei siti industriali inquinanti che, secondo i dati del Ministero citati da Legambiente, comprendono 171.269 ettari a terra e di 77.733 ettari a mare solo per i siti di interesse nazionale
- La bonifica delle discariche abusive, problema stra-noto che, oltre tutto, ci costa ogni anno 204 milioni di euro per le procedure d’infrazione dell’Unione Europea
- Il deposito per le scorie radioattive a media e bassa attività, strascico dell’attività del nucleare
- Le discariche per i rifiuti contenenti amianto
- Gli impianti di depurazione versano in uno stato di emergenza che comporta spreco e inquinamento dell’acqua
- Portare l’innovazione nei piccoli comuni che costituiscono il 70,2% dei 7.954 comuni italiani, a rischio spopolamento
- Rispondere in tempi veloci alle domande pendenti di condono e abbattere gli ecomostri abusivi
- Lo smantellamento delle piattaforme offshore non produttive
- Gli interventi di adattamento e riduzione del rischio idrogeologico: deve invertirsi il rapporto (oggi 1 a 4) tra spesa per la prevenzione (in media 300 milioni l’anno dal 1998 al 2018) e per riparare i danni causati dal dissesto (un miliardo all'anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro)
- I digestori anaerobici per la produzione di biometano e compost di qualità devono crescere in numero, dato che per ora ricevono solo 3 milioni di tonnellate di rifiuti organici, meno della metà di quanto prodotto; questo vale specialmente al sud, dove la raccolta differenziata deve ancora aumentare
Insomma, qui in Italia c’è tanto da fare, ma le premesse per un’applicazione ben fatta del Green Deal e, soprattutto, la gestione ottimale dei fondi sembra essere possibile grazie a un interesse generale per un cambio di passo che comporti il benessere di tutti.
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